– BIO –
La filosofia SloWork™
Tartaruga: “Il nome è forse legato ad antiche concezioni cosmologiche, secondo cui il mondo poggerebbe su un’immensa tartaruga; fa comunque riferimento ad alcune specie di rettili cheloni o testudinati. Anche tu, comunque, puoi essere soprannominato “tartaruga”, soprattutto se tendi a fare tutto con molta calma.”
…se vi state chiedendo cosa c’entri una tartaruga con Filippo Quochi”, siete sulla giusta lunghezza d’onda per avventurarvi nel mondo dello Slow Work, ma prima di parlarvi di questo nuovo movimento culturale, dedichiamo un po’ di tempo al capire chi è Filippo Quochi… Potremmo citare una marea di corsi, mostre, riconoscimenti di rilievo ottenuti negli anni da questo giovane Artigiano, ma non servirebbero a fare emergere la sua vera essenza, quella che lo differenzia dagli altri professionisti che lavorano nel suo campo, quella che rende lui e i suoi lavori unici ed irripetibili.
Parlando di se Filippo racconta di come sia fondamentale per lui riuscire a portare qualcosa di se stesso dentro a ciò che produce ed ecco perché diviene così importante questa sua frase:
“ …Sono cresciuto credendo fermamente che le sole competenze non siano sufficienti per trasformare un buon lavoratore in un uomo , ecco perché gran parte del mio essere fabbro artigiano, lo devo ai miei avi, ad un processo lungo e lento che si è articolato per almeno tre generazioni prima della mia. Il mio bis nonno paterno si alzava al mattino presto e dopo aver preso tutti i suoi attrezzi, si incamminava verso il suo lavoro di fabbro, il compenso avveniva tramite il baratto e solitamente lui otteneva generi alimentari che poi condivideva con la sua famiglia. Ricordo di essere rimasto colpito dai racconti che il mio babbo mi faceva quando ero piccolo su di lui, su come trascorresse le sue ore di lavoro in compagnia dei proprietari delle fattorie presso le quali si recava a fare questi lavori, immaginavo così che oltre al lavoro che sicuramente sarà stato anche faticoso, riusciva a coltivare delle relazioni umane e questo è l’aspetto a mio avviso più importante che ho visto tramandarsi di generazione in generazione, perché anche mio nonno e il mio babbo hanno sempre creato questo spazio di condivisione con chi entrava nella loro bottega. Ecco perché lavorare in rapidità non mi appartiene… prendersi una pausa dai ritmi frenetici di cui spesso siamo prigionieri, per assaporare il piacere che ci procura lavorare ad un progetto, per me equivale a restituire valore al mio lavoro… Per natura sono molto curioso e questo credo sia ciò che alimenta la mia creatività, perché mi spinge ad interessarmi a tutto quello che mi circonda e quindi ad incontrare altri esseri umani da cui ogni giorno, prendo spunto per arricchirmi come persona e come professionista, perché chi mi conosce sa che il mio laboratorio è si circoscritto da quattro mura che ne delimitano i confini strutturali, ma è aperto a chiunque abbia voglia di entrare e condividere con me, un pezzo del proprio vissuto e questa è la parte che conferisce un valore umano al mio lavoro, perché prevede un’interruzione da quello che è il ritmo produttivo con tempi ben precisi, che purtroppo molto spesso ci ingloba al suo interno, privandoci del bene più prezioso che abbiamo, ossia la libertà di respirare, la possibilità di soffermarci per osservare, per pensare o semplicemente per vivere.”
Ciò che conferisce autenticità ed umanità al suo mestiere, è proprio il calare se stesso all’interno dei suoi lavori, indipendentemente dal fatto che siano sculture per una mostra o commissioni richieste da un ipotetico cliente, ecco perché per sapere di più sul suo approccio lavorativo è necessario conoscere in primis l’essere umano che si cela dietro a questa “maschera professionale” . Il suo essere fabbro, artista e artigiano è il risultato di una fusione totale con il suo mondo interiore, con il suo stile di vita e tutto questo mi ha fatto pensare al tormentato protagonista pirandelliano, di “Uno Nessuno e Centomila” che riesce a trovare un po’ di pace e di serenità solo nella fusione totalizzante e quasi misticheggiante con il mondo di Natura, l’unico in cui egli può abbandonare senza timori tutte le “maschere” che la società umana gli ha a mano a mano imposto. Rispetto a questa considerazione è piuttosto evidente quanto anche Filippo non permetta ai ritmi frenetici di un business professionale ed altamente produttivo di condizionare l’andamento e la qualità della sua vita, o almeno fa del suo meglio affinché ciò non accada grazie al suo calarsi anima e corpo dentro al proprio mestiere. La sua consapevolezza circa i ruoli e le maschere che la società ci impone e spesso ci attribuisce senza neanche chiederci il permesso è disarmante e al contempo necessaria per giungere ad una visione totale di se stesso , con tutte le mille sfaccettature della sua personalità che non significa non avere un’identità definita, ma al contrario averne una talmente forte e ben costruita da non temere il confronto con gli altri. Solo chi porta dentro di se la consapevolezza di ciò che è, non avrà difficoltà nell’incontrare altri esseri umani con cui mettersi in relazione per uscirne sempre arricchiti a livello personale. Ecco perché la crescita di Filippo Quochi come professionista è un processo in continua evoluzione.
“Ero alla ricerca di informazioni su tipi di alimentazione che potessero contrastare alcuni sintomi tipici di malesseri dovuti spesso ad intolleranze, ma ancora più frequentemente allo stress che la vita quotidiana ci comporta ogni giorno, quando ho aperto un Link dedicato al movimento Slow Food di Carlo Petrini e dopo averne letto i punti fondamentali, mi è venuto quasi spontaneo fare un parallelismo tra questo approccio che si contrappone a quello dei locali in cui si possa consumare cibi velocemente perché la rapidità regna sovrana a discapito della nostra salute e il mio mestiere di artigiano, sempre più in competizione con aziende ed imprese che puntano non alla qualità del prodotto, ma bensì a vendere più pezzi possibile in minor tempo.”
<< Slow Food nasce nella città di Bra, in provincia di Cuneo, e si pone come obiettivo la promozione del diritto a vivere il pasto, e tutto il mondo dell’enogastronomia, innanzitutto come un piacere. Fondata da Carlo Petrini e pensata come risposta al dilagare del fast food, dello junk food, e delle abitudini frenetiche, non solo alimentari, della vita moderna, studia, difende, e divulga le tradizioni agricole ed enogastronomiche di ogni parte del mondo, impegnandosi per la difesa della biodiversità e dei diritti dei popoli alla sovranità alimentare, battendosi contro l’omologazione dei sapori, l’agricoltura massiva, le manipolazioni genetiche e non ha soltanto l’ambizione di promuovere nel mondo la buona cucina e il buon vino perché intende piuttosto raggiungere un pubblico che, oltre ad essere abbiente, si sente in colpa per il fatto di essere tale e vuole così fare qualcosa per lenire questo disagio. >>
La grande innovazione che distingue la produzione di Filippo Quochi rendendola unica e totalmente differente da quella degli altri è quindi proprio questo nuovo approccio al lavoro che si rende esplicito attraverso questo specifico slogan: Slow work™… Questo slogan richiama ad un tipo di lavoro il cui andamento è quindi lento, perché esce dai canoni previsti dalla produzione di massa e acquisisce un ritmo libero, che non ha vincoli , che parte dall’incontro tra due persone, dal loro confronto reciproco e che richiede pause e riflessioni interiori…
“Quando un cliente viene da me per un lavoro, io solitamente lo incontro per parlarci di persona, per confrontarmi con lui perché credo che niente più del dialogo, possa restituire libertà ad un pensiero creativo…”
Questo è quindi il metodo SloWork™ che utilizza Filippo Quochi per lavorare con i suoi clienti, o per allestire una mostra, non c’ è spazio per la velocità, al contrario visitando il suo laboratorio in Via Fabio Filzi, 31 (Interno 33), potrete constare con i vostri stessi occhi, quanto lui curi il particolare, quanto le sue opere siano frutto di una progettualità che richiede tempo e che ci conduce quasi inevitabilmente verso una spontanea riflessione individuale.
A questo proposito , vorrei ricordare “Simmetrie interiori “, una delle sue ultime opere , perché a mio parere , racchiude perfettamente la ricchezza di contenuti umani che lui mette in tutto quello che crea. Si tratta infatti di una scultura in ferro sulla quale ha inciso apparentemente in modo del tutto casuale, una serie di numeri, di cifre , di lettere, che rappresentano invece il codice distintivo di una persona, quello che lo rende unico ed irripetibile, ma che spesso a causa delle molteplici maschere che è costretto ad indossare per sopravvivere nella società in cui viviamo, riamane chiuso e nascosto nella parte più profonda di noi stessi. Un lavoro come questo, non si improvvisa, perché parte da un pensiero, che a sua volta è frutto di un vissuto, che implica una sensibilità verso il mondo, verso i suoi colori, verso i suoi odori, verso il particolare e tutto ciò richiama alla mente un processo lento in cui colui che crea riesce ad assaporare ogni attimo necessario alla progettazione e alla realizzazione di questo lavoro.
Per riuscire a fare questo, occorre restituire valore umano al proprio mestiere, donare una parte di se a quello che si crea, e incontrare le persone, ascoltarle e comunicare con loro in modo autentico, non lasciarsi intimorire da ciò che sembra discostarsi dalla “ normalità culturale a cui siamo stati abituati”, ma al contrario ripartire esattamente da li per avviare un cambiamento, una crescita personale…
Progetti per il futuro
“Un domani mi piacerebbe creare una scuola per formare giovani fabbri artigiani e se dovessi dire in due parole quale sarebbe la mia massima priorità in merito a questa immensa opportunità, direi sicuramente quella di creare uno spazio all’interno del quale sentirsi liberi di esprimersi, perché secondo me questo rappresenta l’elemento indispensabile per creare qualcosa che possa lasciare una traccia di noi, capace di sfidare le barriere spazio- temporali. La minaccia più grande per la libertà creativa è proprio l’aver perso l’attitudine ad osservare le cose , a guardarle, perché c’è un enorme differenza tra vedere e guardare. Punterei quindi ad una formazione che preveda laboratori sulla storia del ferro e sull’evoluzione di questo mestiere, ma cercherei di sensibilizzare i giovani verso l’attenzione per le cose, per quello che accade dentro di loro mentre progettano e poi creano qualcosa, perché lavorare rispettando i tempi necessari alla realizzazione autentica di un oggetto, ti permette di avere tra le mani una finestra aperta sulle tue emozioni e niente più di questo, riuscirà mai a determinare il giusto equilibrio tra la soddisfazione del cliente e la tua…
Ai giovani di oggi chiederei di focalizzare la loro attenzione sul perché sono rimasti affascinati da questo antico mestiere che quasi come un paradosso estremo, lavora su metalli che richiamano freddezza e distacco proprio per la loro consistenza, ma che riescono anche a dar vita a sculture, oggetti colmi di valore umano se maneggiati e modellati dalla mano di un artigiano che è consapevole delle proprie emozioni e riesce quindi a restituire profondità emotiva a questa professione…”
C’è un passaggio molto bello a cui io mi ispiro pensando a me come futuro maestro artigiano:
“La pedagogia è un’arte e dunque il maestro deve avere una vera vocazione per l’insegnamento. Un buon maestro genera buoni alunni, così come un cattivo maestro ne genera di cattivi. L’ insegnamento non è solo un freddo passaggio di informazioni, ma è una relazione tra due esseri umani, in cui uno è assetato di conoscenza e l’altro è votato a trasmettere tutto il proprio sapere umano ed intellettuale. Il nostro obiettivo è quindi elaborare una pedagogia che insegni ad apprendere, ad apprendere per tutta la vita dalla vita stessa”…
( Rudolf Steiner)
Steiner sostiene che l’educazione è quindi un’arte, l’arte dell’educazione per l’appunto, in cui l’artista è l’insegnante e la sua “opera d’arte” lo studente, un processo il cui culmine è il raggiungimento della libertà.
La vera storia della tartaruga e la farfalla
“Nella notte dei tempi… quando ancora il giorno non era giorno e la notte non era notte… la mano che scrisse l’universo stava dando vita agli animali e alle loro peculiarità… giunsero a lei due animali con una strana forma ancora imprecisa… la tartaruga e la farfalla… una voce disse: una di voi avrà la vita così lunga che sembrerà eterna… silenzio e poi: l’altra tutte le gioie della vita racchiuse in un battito d’ali… a quel punto la tartaruga, accecata dalle prime parole pensò: pensa a tutte le cose che potrei fare con una vita eterna, potrei dormire giornate intere, vivere lentamente senza la pressione di vivere il momento, perché per me ci sarà sempre un domani… e la farfalla: vivrei la mia vita come meglio potrei e morirei felice di aver vissuto anche solo questo piccolo attimo infinitamente intenso… allora la mano che creò il mondo, che leggeva nel cuore delle anime, disse: tu farfalla sarai tartaruga, perché hai compreso il vero valore della vita e so che vivrai al meglio tutti gli anni che ti donerò… e tu tartaruga sarai farfalla perché capirai il valore di ciò che ti dono, la vita, solo se non ne avrai… e così la farfalla divenne tartaruga, e la tartaruga farfalla…”
Testi a cura di Francesca Ferri
FRANCESCA FERRI si è laureata in Psicologia Clinica e di Comunità presso l’Università degli Studi di Firenze. Dal 2010 è Docente di Scuola Comunale Paritaria dell’Infanzia. Dal 2007 è iscritta all’Albo degli Psicologi della Regione Toscana e svolge la libera professione.
Filippo Quochi
Curriculum Vitae